Ho letto “Il giorno che non c’è”, un libro di Daniela Ori, Edizioni Artestampa, 2017 (92 pagine, 13,00 euro). Si tratta di un’opera poetica che Daniela Ori presenta collaborando in modo trasversale con uno scrittore, Fabio Clerici, e una pittrice, Beatrice Riva. Fabio Clerici, con la sua prefazione e le introduzioni a ogni gruppo di liriche, costituisce una sorta di alter ego maschile: consente di costruire un dialogo uomo – donna e, allo stesso tempo, prosa – poesia. Beatrice Riva dona invece una veste visiva alle parole, accordando l’inserimento nel libro di foto di suoi dipinti ispirati alle liriche e consentendo alla poesia di divenire colore e immagine.
La poetessa utilizza un altro stratagemma per introdurre anche la musica nella sua opera. Le poesie sono infatti raccolte in sette gruppi, come le sette note di un pentagramma: 1) Amore, 2) Magia, 3) Donna, 4) Ricordi, 5) Figlia, 6) Incanto, 7) Ironia. Cinque poesie per ogni gruppo per trentacinque poesie. In questo modo, il naturale ritmo della narrazione poetica si propaga come una sorta di melodia fatta di emozioni e parole. La poesia diventa così sintesi di tutte le arti in un unico compendio raffinato: prosa, pittura e musica.
Le liriche sono tutte intimistiche e a verso libero: utilizzando questa forma svincolata, la poetessa può spaziare liberamente e senza costrizioni stilistiche imposte, all’interno di sensazioni, ricordi, aspettative, dolori, gioie e speranze, rivolgendosi sia a sé stessa che all’ipotetico lettore. Il verso libero non fa tuttavia perdere il ritmo e la musicalità.
Pur scandagliando il mondo interiore di chi scrive, non si trova in queste liriche un approccio ermetico o enigmatico: si tratta quindi di un invito alla condivisione e all’empatia, attraverso versi semplici ma eleganti che sanno parlare direttamente al lettore che entra nell’opera, riconoscendosi in essa.
Come solo l’arte poetica può fare, queste liriche ci portano in tempi e luoghi lontani, ci mostrano ciò che avrebbe potuto essere ma non è stato, ci raccontano vite di persone reali o immaginarie, con un unico grande scopo, splendidamente raggiunto: convogliare emozioni. Tenendo per mano l’autrice, attraversiamo atmosfere nostalgiche, momenti di dolore e incertezza e poi, come d’incanto, ci ritroviamo a sorridere in un gioco ironico fatto di rime e sarcasmo.
La lirica finale che dà il nome all’intera opera, “Il giorno che non c’è”, è un’ottima sintesi dell’intento dell’autrice: costruire attraverso la poesia un mondo alternativo, in cui le emozioni possano essere vissute in maniera autentica e condivise senza timore.
Se tutto ciò risulta spesso impossibile nella vita reale, è invece alla portata della poesia: quel giorno che non c’è esiste tra queste liriche che consentono di perdersi piacevolmente nel labirinto delle emozioni.
Molto bello il trailer con melodie di ispirazione celtica.
Daniele Biagioni