INCONTRI INATTESI di Daniele Biagioni
Strani incontri accadono in tempo di pandemia, proprio quando non si può incontrare nessuno….Ecco l’ultimo racconto del socio Daniele Biagioni. Buona lettura!
Sono stanco di stare chiuso dentro queste quattro mura. Ormai sono mesi che non ci lasciano uscire. La pandemia fuori imperversa mentre la primavera, con noncuranza, sta pian piano lasciando intravedere spiragli di estate
Sul diario ho segnato i giorni dall’ultima volta che ho visto qualcuno, dall’ultima occasione in cui ho potuto parlare con una persona fisicamente: sono 41. A tratti, mi sembra di essere rimasto da solo al mondo. Vedo le persone solo al di là di uno schermo, come fossi un pesce dentro un acquario. Mi chiedo quanto ancora io possa continuare così, senza impazzire.
O sono forse già impazzito?
Poi una mattina, davanti alla porta di casa, vedo un uomo. Non so da dove sia spuntato. Il mio appartamento ha una entrata indipendente e un cortiletto recintato. Mi stupisco di vederlo dentro, ma non troppo. Mi avvicino alla porta e, intrepidamente, la apro.
“Ciao, sono Matteo” – si presenta.
Lo guardo e mi sembra che abbia la mia età, almeno credo, più verso i 40 anni che i 30.
“Piacere, sono Federico” – rispondo. Lo faccio entrare in casa e solo dopo un attimo mi accorgo che è senza mascherina. Matteo si accomoda sul divano, come fosse casa sua.
Perché l’ho fatto entrare senza nemmeno sapere chi sia? Potrebbe avere il virus!
“Davvero non sei mai uscito di casa per 40 giorni? Sei pazzo? Non lo sai che è tutto un complotto? Il virus non esiste, vogliono solo controllarci e tenerci segregati!” – mi dice, guardandosi intorno.
“Ma non vedi la tv? Non leggi i dati sul web? È un disastro” – gli rispondo contrariato. Mi accorgo però che parlare con qualcuno in carne e ossa mi elettrizza e cerco di moderare i toni per non farlo andare via.
“E togli quella mascherina! Non serve a niente” – continua lui.
“Ma tu come lo sai? Di dove sei? Come hai fatto a venire qui con tutte le restrizioni che ci sono?” – ribatto.
Matteo non sembra preoccupato e mi guarda con nonchalance: “Io abito qui” – risponde.
Rimango abbastanza perplesso e lo fisso come per studiarlo. “Come abiti qui? Non ti ho mai visto”.
“Si vede che non ci hai mai fatto caso. Eri troppo impegnato a seguire il telegiornale!” – mi dice sorridendo. Sembra tranquillo.
Continuiamo a parlare per qualche tempo. Anche se abbiamo diversi punti di vista, la conversazione risulta alquanto piacevole. Finalmente una vera chiacchierata! Sono quasi felice. E mi dimentico dell’enorme rischio di infettarmi che sto correndo. Gli offro anche una birra. Dico che vado a prenderla in cantina e lui annuisce soddisfatto. Esco dalla stanza, prendo la bottiglia ma … quando torno lui non c’è più.
Dove è sparito senza dire nulla?
Esco dalla porta ma non lo vedo nemmeno fuori, in cortile.
Che peccato! Spero torni.
Per fortuna qualche giorno dopo Matteo ricompare, ma in maniera ancora più assurda. Lo vedo nel giardino posteriore, completamente recintato e privo di accesso se non dall’interno dell’appartamento. È seduto al tavolino con le gambe stese a godersi un sole quasi caldo. Mi avvicino a lui timidamente.
“Ciao Matteo, sono felice di rivederti. Come hai fatto a entrare qui?”.
“Te l’ho detto l’altra volta, io abito qui!” – mi risponde sorridendo.
Penso che abbia scavalcato la recinzione e alla fine capisco che la cosa straordinariamente non mi infastidisce nemmeno. Mi siedo e parliamo, scherziamo, ridiamo. Come non mi accadeva da tempo. Scopriamo anche che abbiamo frequentato gli stessi corsi universitari ma, incredibilmente, non ci siamo mai visti.
Come è diverso interagire con una persona fisicamente!
Matteo è un anarchico. Anch’io nel profondo, lo sono in parte. Ma ho sempre cercato di soffocare questa sfaccettatura della mia personalità. Parlare con lui mi fa tornare a galla una profonda idiosincrasia verso queste regole soffocanti di contrasto alla pandemia. Poi a un certo punto, lui mi fa una proposta sconvolgente: “Dai andiamo a correre!”.
Sgrano gli occhi per lo stupore. “Ma scherzi? È assolutamente vietato!”.
Matteo scoppia in una sonora risata: “Devi imparare a fregartene di tutte queste regole assurde! Dai, andiamo a fare una corsetta”.
Sono esterrefatto ma Matteo mi convince e dopo poco usciamo di casa e facciamo una corsa. Sono molto affaticato perché non corro da mesi, ma provo una enorme sensazione di liberazione e di euforia. Mentre corro davanti a Matteo, mi viene in mente – non so come mai – un bellissimo pezzo di Tori Amos: “In my head I found you there, and running around and following me”. Poi a un tratto, mi volto per dire qualcosa al mio compagno di corsa e… lui non c’è più. Rimango parecchio infastidito.
Poteva anche avvisarmi, prima di andarsene, è proprio scortese!
Torno verso casa con la paura di essere fermato da qualche pattuglia. Mi accorgo di essere persino uscito senza mascherina.
Ma allora sto proprio impazzendo!
Le sorprese di questo periodo assurdo non sono finite. Davanti al cancelletto di casa c’è una giovane donna. Non avrà più di trent’anni, è magra e ha lunghi capelli castani e lisci. Mi sembra molto carina, da quel poco che riesco a intravedere di lei. Infatti ha due mascherine sul viso, una sovrapposta all’altra: sotto una chirurgica e sopra una FFP2. Ha anche degli occhiali protettivi trasparenti, di quelli chiusi lateralmente. Ma riesco a intravedere, sotto di essi, i suoi occhi spalancati. A un tratto comincia a parlare e il suo tono è imperativo.
“Ciao sono Giovanna. Tu cosa fai in giro senza mascherina? Non lo sai che il virus è ovunque e può passare dal naso, dalla bocca e anche dagli occhi?”.
Rimango senza parole e mi sento profondamente in colpa. Mi sento in imbarazzo, ma provo a risponderle, con una certa difficoltà.
“Piacere di conoscerti, Giovanna. Io sono Federico. Sì, hai ragione, sono uscito di fretta dimenticandomi di mettere la mascherina…”. Anche al di sotto dei molteplici strati protettivi, capisco che la mia risposta l’ha fatta infuriare.
“Come puoi dimenticare l’unica cosa che forse è in grado di salvarci la vita? E come ti azzardi a uscire di casa in questo momento? Magari hai già preso il virus e le terapie intensive sono piene di moribondi!”. La voce è interrotta e alterata.
Ha proprio ragione, ma cosa mi è saltato in mente!
Le parole di Giovanna sembrano fare immediatamente risorgere la parte più ansiosa e ipocondriaca di me. Sì, ho anche questo aspetto di fragilità dentro di me. Un aspetto che con la pandemia ha ritrovato forza e vitalità. Mentre lei mi parla, tenendomi a distanza di 4 metri, mi sento soffocare.
Oddio, come respiro male, che abbia già preso il virus? Per fortuna parlare con questa donna mi ha fatto rinsavire.
La ringrazio e le chiedo come mai si trovi in giro qui, pur se adeguatamente e coscienziosamente protetta. Giovanna mi risponde dicendo che lei abita qui. Mi sorprendo di non averla mai vista, come del resto è successo con Matteo. Le chiedo se le va di parlare un po’ con me, a debita distanza. Le propongo solo di attendere un attimo, devo indossare le protezioni.
“Aspettami per piacere, entro in casa a mettermi la mascherina e torno subito”.
Vado a indossare la protezione con accuratezza. Ma quando torno fuori, lei non c’è più.
Avrà certamente preso paura, notando i miei atteggiamenti irresponsabili. Spero che ritorni…
Qualche giorno dopo Giovanna si ripresenta di nuovo davanti al cancelletto. Si azzarda persino a entrare in cortile e si siede al tavolino, ma solo dopo averlo disinfettato (ha una borsa con spray antibatterici e gel ultra-sterilizzanti, sempre con sé) e a debita distanza. La raggiungo e cominciamo a parlare della pandemia, delle varianti del virus, della difficile sopravvivenza futura della razza umana. Anche se gli argomenti sono molto cupi, mi fa bene parlare con lei: condividere ansia e paure profonde è catartico e liberatorio. Poi torno finalmente a gustare, anche con lei, la grande gioia di parlare con qualcuno in presenza, che non sia sempre al di là dello schermo.
Nei giorni successivi ho la fortuna di vedere spesso entrambi i miei due nuovi amici o vicini di casa, che dir si voglia. Se Matteo entra tranquillamente in casa, Giovanna non ne vuole sapere e rimane sempre fuori e distanziata. Il primo non indossa mascherine e la seconda ne ha due. I discorsi che faccio con l’uno e con l’altra sono diametralmente opposti. A volte parlo a Matteo di Giovanna e viceversa. Intendo bene il reciproco disprezzo e comunque provo il desiderio di farli incontrare per scatenare il dibattito in cui io, credo, potrei essere l’arbitro. Ma non riesco mai a incontrarli contemporaneamente: quando c’è uno, non c’è l’altra, è quasi incredibile. Tuttavia, grazie a loro, riesco a reggere meglio l’isolamento.
I miei amici si lamentano del fatto che non rispondo più come prima al telefono e alle videochiamate, ma non parlo con nessuno di loro di quello che sto vivendo con Giovanna e Matteo. È come se queste due persone appartenessero a una dimensione privata, solo mia.
Poi, con il passare delle settimane, finalmente i contagi scemano, le restrizioni cadono progressivamente e possiamo di nuovo uscire. Incontro i miei genitori e gli amici di sempre. Intanto Matteo e Giovanna si fanno vedere sempre meno. Finché un giorno non li vedo più. Ammetto di rimanerci un po’ male: ormai mi ero affezionato alle loro visite.
Che fine avranno fatto? Eppure, avevano detto di abitare qui… dove abito io.
Modena, 5 marzo 2021
2021@copyrightDanieleBiagioni
Proprio strani incontri in un momento storico in cui non si può incontrare nessuno. Bravo Daniele!
Grazie mille Daniela
Proprio incontri strani! Forse sono le diverse sfaccettature della personalità del protagonista . Un racconto originale ! Complimenti